Le memorie di Gasparuccio: Origine degli Spoto
E’ risaputo che gli Spoto siano di origine macedone di gruppo etnico albanese. Dopo l’invasione turca dei Balcani nel XV secolo, gli Spoto trovarono rifugio in Sicilia e precisamente a Sant’Angelo Muxaro, Comune di nuova formazione (1515 circa) che favorì la colonizzazione dei profughi albanesi.
Gli Spoto si integrarono rapidamente con la popolazione locale se già all’inizio del Settecento risultano essere tra le famiglie più eminenti, tanto da fondare la Chiesa del Carmelo nella cui cripta esistono ancora le loro sepolture, mentre all’interno della chiesa si trova una statua marmora del Canonico Giovanni Spoto morto nel 1793.
A. Il Canonico Domenico Spoto
Il personaggio più illustre della famiglia è stato certamente il Canonico Domenico Spoto (20.01.1729-29.12.1809) che prima divenne Vescovo di Lipari nel 1802 e poi Vescovo di Cefalù nel 1804 fino alla sua morte nel 1809.
Il Canonico Domenico Spoto (1729) era coetaneo del Vicario Dima Borsellino (1736) e dell’Agostiniano Liborio Borsellino (1735). Tutti e tre certamente si sono formati al Seminario di Agrigento e sono stati ordinati sacerdoti in quella Diocesi venendo il primo da Sant’Angelo Muxaro ed i due cugini Borsellino da Cattolica.
Chissà quali erano i loro rapporti! Certamente Liborio fece una grande carriera divenendo Padre Generale dell’Ordine degli Agostiniani, mentre Dima più modestamente dopo aver raggiunto il grado di Vicario del Vescovo, di fatto si ritirò a Cattolica nel Palazzo di famiglia dove visse per tutta la vita esercitando il suo ministero nelle chiese del paese.
Domenico invece era un prete molto importante. Faceva parte del Capitolo della Diocesi e visse stabilmente ad Agrigento dove in quel tempo vivevano altri due preti Spoto: Giovanni e Vitale. Tutti e tre furono nominati Canonici:
- Domenico nel 1761
- Giovanni nel 1763
- Vitale nel 1767
Tra i tre, Domenico fu di gran lunga il personaggio più importante avendo raggiunto la nomina a “Ciantro” carica che conservò per oltre quaranta anni fino cioè alla sua nomina a Vescovo di Lipari.
Il Ciantro era il responsabile amministrativo che gestiva le rendite e le entrate della Chiesa Agrigentina. E si sa che, da che mondo è mondo, chi gestisce il denaro risulta essere la persona più potente. Domenico, come vedremo, con la sua abilità e con la sua destrezza fu certamente l’artefice della fortuna della famiglia rimasta a Sant’Angelo Muxaro.
Il Canonico Domenico Spoto, oltre ad essere un personaggio molto influente, era famoso per la sua cultura e per la sua scienza teologica e giuridica; inoltre era proverbiale la sua ospitalità e la sua cortesia: ospitava nella sua casa (il magnifico Palazzo De Marinis) i personaggi di riguardo che arrivavano ad Agrigento e se questi avevano preso alloggio altrove arrivava al punto di inviare i suoi mobili, arredi e suppellettili per rendere più gradevole il loro soggiorno. Molti viaggiatori stranieri nelle loro memorie di viaggio lo hanno ricordato (F. L. Stolberg, P. Brydon, G. A. Jacobi) mentre la scrittrice Helen Tuzet ne ha tracciato un breve profilo (Riportarlo nella prossima edizione).
Del Canonico Spoto scrive anche il Barone Vincenzo Mortillaro nel Giornale di scienze, letteratura ed arti per la Sicilia (vol. 75; anno 19; luglio-agosto-settembre; Palermo 1841). “dottissimo in diritto ed in ragion canonica, composto a gentilezza ed urbanità, verso tutti ospitale.
Fu anche vicario capitolare del Vescovo Lanza; Provicario del Vescovo Lucchesi Palli e poi Vicario Generale del Cardinal Colonna Branciforte prima e del Vescovo Monsignor Cavalieri dopo. Non so se questo Vicariato fu esercitato prima o dopo quello di Dima Borsellino.
B. Il “beneficio” De Marinis
Era frequente nel quindicesimo secolo che le più importanti famiglie della nobiltà costruissero cappelle nelle chiese ed istituissero “benefici“ a favore di singoli sacerdoti che si obbligavano per tutta la loro vita a svolgere una serie di pratiche religiose (per lo più Messe) in suffragio dei defunti della famiglia che aveva costituito il “beneficio”. Questi benefici consistevano per lo più in rendite di cespiti economici a volte molto ragguardevoli.
Ad Agrigento nel 1435 Girolamo De Marinis, duca di Terranova, in attuazione di una disposizione testamentaria del fratello Guglielmo, aveva costruito nella Cattedrale la Cappella di San Girolamo ed aveva istituito con atto notarile, un beneficio indicando il nome del sacerdote beneficiario a vita.
Il Sanfilippo in un suo saggio pubblicato nella rivista Akragas nel 1912 elenca i vari atti notarili, attraverso i secoli, con i quali venivano indicati i sacerdoti beneficiari. Infatti alla morte del sacerdote beneficiario, l’ultimo esponente della famiglia che aveva istituito il beneficio, doveva indicarne uno di proprio gradimento con atto notarile.
Frattanto la famiglia De Marinis si era estinta ed attraverso i Pujades era confluita nella famiglia Pignatelli Aragona Cortes che viveva a Madrid.
Pertanto con atto notarile del 29.12.1771 del Notaio Tomasino di Palermo, il Principe Ettore Pignatelli Aragona Cortes, duca di Terranova, aveva nominato titolare del beneficio De Marinis il Canonico Giovanni Spoto (probabilmente nipote del Canonico Domenico Spoto, cioè figlio del fratello Giacomo Senior). Da notare che in quel momento il Canonico Domenico Spoto era Ciantro del Vescovado da oltre 10 anni.
Successivamente nel 1793 alla morte del Canonico Giovanni Spoto fu nominato beneficiario il Canonico Domenico Spoto in prima persona ed alla sua morte (nel 1809) il beneficio rimase formalmente vacante (e qualcuno al vescovado si godeva le rendite!) fino a quando con bolla del 26 agosto 1853 il Vescovo Lo Jacono “vacante beneficio sub titolo S. Hieronimi De Marinis de jure patronatus ducis Terranovae”, non presentandosi il patrono (ormai i Pignatelli Aragona Cortes non si scomodavano più!) ad indicare il successore beneficiale, nominò come Economo di tale beneficio il sacerdote Pompeo Spoto (1830-1899) con l’obbligo però di rendere conto delle rendite beneficiarie. Da notare che in quell’anno Pompeo aveva appena 23 anni!
Il Sanfilippo mette in evidenza inoltre che con l’andare degli anni (dei secoli!) il beneficio De Marinis si era notevolmente rimpinguato e arricchito per una serie di successivi lasciti testamentari.
Sembra del tutto evidente quindi che il “beneficio De Marinis” per oltre un secolo (dal 1771 al 1899, anno della morte di Monsignor Pompeo) sia stato esclusivo appannaggio dei Canonici Spoto che si sono susseguiti per almeno tre generazioni. Conferma di questa impressione è che il grandioso Palazzo De Marinis in Agrigento, edificato nella seconda metà del quattrocento con progetto del famoso architetto Matteo Carnelivali, di cui si hanno testimonianze fotografiche (il palazzo fu poi demolito per consentire la costruzione dell’attuale Teatro Pirandello all’interno del Palazzo Comunale) era comunemente chiamato Palazzo Spoto in Via dell’Arco Spoto. Anche al catasto borbonico risulta che il Palazzo apparteneva prima a Vitale Spoto e poi agli eredi di Don Francesco Spoto. Pertanto nel corso dell’ottocento il nome De Marinis è stato completamente cancellato (d’altronde la famiglia era estinta ed era confluita nei Pignatelli Aragona Cortes) e sostituito con il nome Spoto.
Il giovane beneficiario sacerdote Pompeo Spoto era figlio di Gilberto che a sua volta forse era figlio di Giacomo Senior, il primo Barone Spoto. Questa affermazione si può fare perché Pompeo in una sua pubblicazione dichiarava essere “Monsignor Pompeo Spoto dei Baroni Spoto”.
Questo Pompeo, di cui nella sacrestia della Cattedrale di Agrigento c’è un ritratto e che prende il nome del prozio arciprete di Sant’Angelo Muxaro, fece una carriera folgorante: divenne presto canonico e nel 1871 “Tesoriere” (come lo zio Domenico che era stato Ciantro); per una serie di beghe non riuscì mai a diventare Vescovo ed un opuscolo apologetico dovuto a Angelo Noto (pubblicato dalle edizioni del seminario di Agrigento) illustra le varie tappe della sua carriera e la sua popolarità soprattutto per la difesa delle “decime agrigentine”, cioè le finanze della Chiesa insidiate con l’arrivo di Garibaldi.
Negli ultimi anni della sua vita Pompeo volle modificare il suo cognome in De Spoto perché sembra che volesse accentuare l’etimologia del suo cognome di origine greca (despotes=padrone) e per l’esistenza dei Monti De Spoto in Macedonia.
C. L’acquisto e l’investitura del Feudo del Salacio
Il 12 maggio 1773 lo stesso principe Pignatelli Aragona Cortes che un anno e mezzo prima, cioè il 29 dicembre 1771, aveva nominato Giovanni Spoto titolare del beneficio De Marinis con atto del Notaio Tomasino di Palermo, con lo stesso notaio vendette in enfiteusi a Giacomo Spoto Senior il feudo del Salacio che era una pertinenza della Baronia di S. Angelo Muxaro della quale egli era investito fin dal 1766.
Come non vedere la mano del Canonico Domenico Spoto in questa vicenda? Il potentissimo Ciantro con un colpo solo in meno di due anni era riuscito a far assegnare al nipote (figlio del fratello Giacomo Senior) il lucrosissimo beneficio De Marinis (che poi gestirà direttamente) e far vendere in enfiteusi (cioè senza pagamento in contanti ma con un canone annuo da poter facilmente affrancare nel corso degli anni) il feudo del Salice al fratello Giacomo Senior. D’altra parte il Principe Ettore Pignatelli Aragona Cortes stava a Madrid probabilmente in tutt’altre faccende affaccendato.
Ovviamente queste sono illazioni. Mi piacerebbe andare a stare un mesetto a Madrid e fare ricerche negli archivi Pignatelli Aragona. Dovrebbero esserci lettere del potente Ciantro Spoto riguardanti sia la successione del titolare del “beneficio De Marinis” di cui il Vescovado era garante, sia la proposta della vendita del feudo del Salacio. Forse anche al Vescovado di Agrigento si dovrebbe trovare qualcosa in proposito.
Comunque credo che tutti noi dovremmo essere riconoscenti a questo Canonico che ha fatto arricchire la nostra famiglia.
Diciotto anni dopo (precisamente il giorno 11.10.1791) Giacomo Senior prese l’investitura araldica di Signore del Salacio. Significa che era ormai riuscito ad affrancare l’enfiteusi (Atto Notaio Francesco Antonio Tomasino di Palermo del 12.5.1773) ed era divenuto pieno proprietario del feudo (V. Conservatoria Vol. 1179, Inv.re, foglio 156 retro) . Anche in questo mi sembra ci sia lo zampino del Canonico perché come fa un villanzone di uno oscuro borgo rurale, sperduto tra le selvagge montagne nel centro dell’isola, ad entrare nell’esclusivo club degli aristocratici siciliani?
In effetti però bisogna osservare che nella seconda metà del settecento in Sicilia ci furono molti passaggi di proprietà di feudi ed i nuovi acquirenti potevano prendere l’investitura. Potevano cioè acquisire il titolo onorifico legato al feudo. Ciò fino all’abolizione del feudalesimo del 1812. Anche i Borsellino in quegli anni presero l’investitura del feudo di Giardinelli che avevano comprato (in contanti e non in enfiteusi). Ma i Borsellino erano già Baroni per altro titolo e poi diverranno anche Marchesi. Ma questa è un’altra storia.
“come fa un villanzone di uno oscuro borgo rurale, sperduto tra le selvagge montagne nel centro dell’isola, ad entrare nell’esclusivo club degli aristocratici siciliani?” Questo passaggio è offensivo e indecoroso. Ricordiamoci che il poeta e conte Giacomo Leopardi parlava del suo paese come del “natio borgo selvaggio”. Anche questo circondato da monti e molto lontano dalle grandi città.