Le signorie di Cattolica

(a cura di Vincenzo Spoto – tratto dal libro “Frammenti di memoria” di Maria Grazia Spoto)

Cattolica vide alternarsi, nel giro di pochi secoli, ben tre signorie: gli Isfar et Corilles, i del Bosco e i Bonanno; essi vissero da padroni nella signorilità e negli agi, fino a quando il corso degli eventi imboccò, anche per loro, una parabola discendente.

Gli Isfar et Corilles, il cui cognome era Desfar, ma che volgarmente vennero detti Isfar, giunsero in Sicilia nel 1426 con Gilberto Desfar et Corilles, cavaliere catalano, che vi si trasferì dalla Catalogna (Spagna) ai servigi di re Alfonso; quì ricoprì la carica di maestro segreto del regno ( 1426) e di vicario generale del regno (1440). Nel 1430 Gilberto Isfar et Corilles acquistò in Sicilia il Castello di Siculiana (terra e feudo) e nel 1432 il feudo di Favarchil; inoltre gli furono concessi i feudi di Iblatanus ed Ingastone, dove in seguito fu edificata “la Catholica”.

Dopo la fondazione di Cattolica lo stemma degli Isfar, con l’aggiunta di tre stelle sulla sommità dei vulcani, divenne quello del nuovo Comune.

Nel 1458 un privilegio di re Alfonso aggregò tali feudi alla baronia di Siculiana, che in quel periodo era retta da Giovanni Isfar.

Don Blasco Isfar, che nel 1592 prese l’investitura delle baronie di Siculiana e delle Saline, il 24 maggio 1610 ottenne la “licentia populandi” per edificare, nei feudi di Iblatanus ed Ingastone, un nuovo paese. Ottenuto il privilegio dal Vicere, Duca di Escalona, egli incaricò il figlio Francesco di edificare il nuovo paese nel feudo “Ingastone-Monforte”. Si può ipotizzare che il primo nucleo di “Catholica” sia stato edificato e popolato prima della “licentia populandi”, così come di solito avveniva in molti altri comuni siciliani, poichè, dal momento del rilascio di quest’ultima, il fondatore del nuovo paese doveva al sovrano “ la regalia”. In considerazione del fatto che l’ edificare strutture quali chiese, case, fondaci, mulini, frantoi e la ricerca di acqua potabile, comportavano un notevole impegno economico, il non dover pagare per qualche anno al re “la regalia”, permetteva al fondatore del nuovo paese di ammortizzare parte delle spese. Di contro, dal momento della concessione della “licentia populandi”, che apportava prestigio ai baroni siciliani in quanto faceva assumere loro il titolo feudale e assegnava un posto nel parlamento, il nuovo signore aveva il diritto alla riscossione delle tasse. Filippo III concesse, nel 1612, a Francesco Isfar, per concessione del padre Blasco, il titolo di barone del nuovo paese e nel 1615 quello di duca.

Unitamente all’edificazione del nuovo paese gli Isfar fecero erigere, nel quartiere dei raffadalesi, una residenza nella quale poter soggiornare per seguire i lavori. Tale dimora, che era ubicata nell’attuale via Collegio, angolo via Marconi e che oggi non esiste più, perchè demolita con molta superficialità negli anni ottanta, era di struttura massiccia e vasta, ma non era certamente sontuosa ed adeguata al ruolo di palazzo baronale.

Da un ampio portone si accedeva ad una portineria che, attraverso alcuni corridoi, immetteva in vari vani situati a pianterreno; una scala conduceva al piano soprastante che era costituito da ampi e numerosi vani. L’intero edificio si sviluppava intorno a un vasto baglio di circa 200 mq, acciottolato così come si usava nel seicento, al centro del quale sorgeva una cisterna per la raccolta delle acque piovane, costruita in pietra barancina artisticamente lavorata; questa era sormontata da una intelaiatura in ferro battuto alla quale era attaccato un catino utilizzato per sollevare l’acqua.

Nel 1616 don Francesco, che si trovava a Salerno, morì e le sue spoglie furono trasportate a Cattolica e tumulate nella Chiesa della Mercede, in un monumentale sarcofago di stile barocco affidato alla custodia dai padri Mercedari, che dimoravano presso l’ annesso convento .

Il 24 settembre 1924 il sarcofago, che presentava segni di violazione venne aperto, per essere riparato, alla presenza del Cav. Michele Spoto, rappresentante dell’amministrazione comunale, del Prof. Raimondo Falci, del Sac. Dott. Santo Spagnolo e dei signori Pasquale Campisi e Paolo Marsala; al suo interno furono trovati solamente un teschio scheggiato all’ altezza della fronte, il residuo di un osso lungo e molti calcinacci. Il sig. Pasquale Campisi, nato nel 1850 e presente al momento dell’apertura del sarcofago, raccontava che i padri Mercedari affermavano di aver visto al suo interno il cadavere di Francesco Isfar et Corilles vestito con abiti sontuosi e con al fianco un elegante spadino.

L’esterno del sarcofago, decorato con intarsi in marmi policromi, si presentava rovinato perchè veniva scheggiato dai fabbri ferrai che ne usavano i pezzetti per farne una polvere da applicare sulle piaghe degli animali da soma; la stessa cosa avveniva anche per la base della statua di marmo della Madonna di Trapani, anch’essa custodita nella Chiesa della Mercede.

Oggi il sarcofago non esiste più poichè, rimasto danneggiato durante i lavori di manutenzione eseguiti all’interno della chiesa, venne buttato; di esso rimane soltanto la lapide con l’ epigrafe funeraria.

Che sia stato don Francesco e non don Blasco, destinatario della “licentia populandi “, ad edificare il nuovo paese lo si evince, oltre che dall’epigrafe posta sopra il sarcofago, nella quale viene chiaramente appellato quale “Catholicae Primo aedificatori”, anche dall’atto di fondazione dell’arcipretura di Cattolica.

Morto il Duca Francesco, il titolo di duchessa fu ereditato da Giovanna, sorella di questi, che nel 1612 aveva sposato Don Vincenzo del Bosco, duca di Misilmeri, primo conte di Vicari, straticoto di Messina, cavaliere del Toson d’Oro, pretore di Palermo e uno dei dodici pari del regno.

I del Bosco, originari della Spagna, si trasferirono in Sicilia nel 1282, con Pietro del Bosco che giunse in Sicilia al seguito del re Pietro D’ Aragona con l’incarico di maggiordomo della regina Costanza. In seguito tale famiglia si estese nei territori di Trapani e Palermo e prese i titoli di: principe della Cattolica, duca di Misilmeri, conte di Vicari, barone di Prizzi e S. Nicolò.

Nel 1620 Filippo III investì la duchessa Giovanna del titolo di principessa “della Catholica”, titolo che fu attribuito anche al marito, Vincenzo del Bosco. La principessa Giovanna fu molto generosa e munifica nei confronti del nuovo paese, che arricchì di molteplici chiese, conventi, collegi, di un monte frumentario e di molti altri privilegi.

Nel 1631 fondò sia il Collegio di Maria, affidato alle suore Collegine con l’annessa Chiesa, sia l’orfanotrofio al quale assegnò la casa baronale, Nel suo testamento del 23 luglio 1640, depositato il 15 marzo 1641 presso il notaio Cesare Luparelli di Palermo, la principessa assegnò annualmente: 20 onze per il cappellano della chiesa, 200 onze per il mantenimento di dieci ragazze e 119 onze e 24 tarì per il mantenimento di trenta orfanelle e della maestra.

Il fatto che la principessa Giovanna abbia destinato il palazzo baronale ad ospitare l’ orfanotrofio, senza averne edificato un altro, fa supporre che, già dalla prima metà del 1600, gli Isfar del Bosco non risiedessero più a Cattolica.

Dal matrimonio della principessa Giovanna Isfar con Vincenzo del Bosco nacque Francesco del Bosco, cavaliere d’Alcantara e prefetto della siciliana milizia, che nel 1655 divenne principe della Cattolica. Egli sposò prima donna Maddalena de Bazan e successivamente donna Tommasa Gomez de Sandoval; da quest’ultima unione nacquero Giuseppe e Rosalia. Don Giuseppe, gentiluomo di camera di re Vittorio Amedeo di Savoja e cavaliere della SS. Annunziata, sposò prima donna Costanza Doria dei duchi di Tursia e successivamente donna Anna Gravina. poichè non ebbe eredi, la signoria di Cattolica passò ai Bonanno in quanto la sorella Rosalia aveva sposato Filippo Bonanno, principe di Roccafiorita.

I Bonanno erano una antica e ricca famiglia pisana arrivata in Sicilia con Giangiacomo e Cesare Bonanni, i quali lasciarono la loro patria a causa di gravi dissidi avuti con la famiglia Gualandi. Essi dapprima si stabilirono a Caltagirone e successivamente si estesero anche nelle città di Siracusa, Palermo e Messina.

Dal matrimonio tra Rosalia del Bosco e Filippo Bonanno nacque Francesco Bonanno del Bosco che nel 1720 venne investito del titolo di principe della Cattolica. Francesco Bonanno del Bosco fu un illustre rappresentante della sua famiglia poichè fu investito dei titoli di: cavaliere del Toson d ‘Oro, grande di Spagna ereditario di prima classe, gentiluomo di camera del re Vittorio Amedeo di Savoja e del re Carlo III, consigliere aulico di stato dell’imperatore Carlo VI, vicario del vicerè, deputato del regno, capitano giustiziere, più volte pretore della città di Palermo ed uno dei dodici pari del regno. Francesco sposò prima Isabella Morra e successivamente Anna Maria Filingieri; dall’unione con quest’ultima nacque Giuseppe Bonanno Filingieri, capitano giustiziere di Palermo e governatore della nobile compagnia della pace (1743).

Nel 1740, dopo il matrimonio con Giustina Borromeo Grillo, Giuseppe fu investito dei titoli della famiglia Bonanno.

Nel 1765 il principe Giuseppe ipotecò e soggiogò, per 4900 onze, tutti i suoi beni ed affitti della Casa Cattolica, nonchè gli ex feudi dei comuni di Cattolica, Ravanusa, Siculiana, Canicattì ed altri, sempre nella provincia di Agrigento, per poter equiparare la dote della figlia Donna Marianna Bonanno Borromei Principessa di Pantelleria a quella del futuro sposo:

Tale evento diede inizio ad una parabola discendente che, dopo alterne vicende, porterà i Bonanno a ridursi in povertà.

Nell’odierna piazza Umberto I, i Bonanno edificarono un nuovo palazzo baronale, detto “casina; anche se non si conosce la data di inizio della sua costruzione, si può ipotizzare che sia anteriore al 1757 poichè il D’Amico, già in quella data, parla di ” un magnifico palazzo del Principe” ; con certezza si sa la data di fine lavori perchè il Castronovo riferisce che “fu compiuto nel 1773” e che egli stesso vide tale data incisa su una lapide posta sul prospetto, ma della lapide oggi non esiste più nessuna traccia.cattolica1g

All’interno del palazzo Bonanno, in stile tardo barocco, vi erano dei pianterreni adibiti a carceri usate dal principe per amministrare la giustizia. Queste erano ubicate in una casetta interna al palazzo, con il quale era messa in comunicazione attraverso una piccola porta. In seguito tali locali furono affittati al comune di Cattolica come carcere mandamentale, e successivamente vennero adibiti ad albergo.

li 2 Febbraio 1816 il principe Don Giuseppe Bonanno Branciforti, capitano generale, avendo i suoi beni ipotecati (ipoteca che risaliva al 1765 ed ancora non pagata), incaricò il regio agrimensore D. Luigi Funtaro di redigere una relazione sugli introiti annui che gli derivavano dai beni posseduti nel comune di Cattolica.

Nella relazione compaiono alcune delle gabelle che spettavano al principe sui beni di consumo, come ad esempio: la gabella della “baglia” sulle carni, sui formaggi, sui pascoli; la gabella della “bocceria” sulla macellazione; la gabella della “capitania” sul fondaco (albergo che ospitava sia uomini che animali da soma e da trasporto in transito) e sull’annona.

I figli del principe Don Giuseppe Bonanno Branciforti, che aveva sposato Donna Teresa Moncada e che era morto, assassinato dal popolo di Palermo nella rivoluzione del 1820, non avevano ancora adempiuto alle disposizioni testamentarie della principessa Giovanna Isfar et Corilles che aveva assegnato al Collegio di Maria e alle opere pie, ad esso collegate, una rendita annua di 220 onze. L’8 dicembre 1832 i figli di Don Giuseppe Bonanno Branciforti e il procuratore del Collegio di Maria, Gioacchino Scagliosi, raggiunsero un accordo: il Principe della Cattolica Don Francesco Antonio Bonanno Moncada, la Principessa Donna Marianna Bonanno Moncada, Don Emmanuele Bonanno Moncada e Don Salvatore Bonanno Moncada, non potendo pagare in denaro il lascito della Principessa Giovanna, assegnarono al Collegio di Maria dei “censi” o canoni a loro dovuti dagli enfiteuti.

Dal canto loro le suore del Collegio di Maria si impegnarono: a riconoscere il Principe di Cattolica quale patrono fondatore rispettandone tutti i diritti, a presentare al Principe un rendiconto annuale e a fargli scegliere dodici fanciulle da fare educare in detto Collegio.

Poichè la situazione finanziaria degli eredi del Principe Giuseppe Bonanno Branciforti era sempre più critica, il 16 luglio 1838, in virtù dell’atto stipulato presso il “notaro Giuseppe Giuliano da Cattolica” diedero al conte Pizzaino e in seguito al “Conte Alessandro Cenci Bolgnetti Nobile Patrizio coscritto romano” in enfiteusi, in parte redimibile e in parte perpetua, il palazzo baronale e parecchi “censi” su terreni di Cattolica. All’atto venne allegata una perizia redatta dall’agrimensore Diego Miceli di Cattolica.

Il 17 Dicembre 1846 il Conte Alessandro Cenci Bolognetti, dopo aver affrancato l’enfiteusi gravante sul palazzo, lo vendette.

Si ritiene che la parte del palazzo danneggiata e riedificata da Stanislao Spoto era parte dell’ala ad angolo tra via Rosario e via Collegio; infatti, mentre l’intero edificio e il prospetto di piazza Roma sono di stile barocco, quest’ala si presenta in stile diverso e molto più tardo: vi è un pian terreno, un terrazzino e in alto si intravedono un arco ed una apertura, entrambe murate.

Il 22 e il 26 gennaio 1854 il baronetto De Bolla, creditore delle 4900 onze derivanti dall’ipoteca che il Principe Giuseppe Bonanno Filangeri aveva acceso, ne11765, per la dote di pareggio della figlia Marianna, pignorò sia l’ex palazzo baronale acquistato dal Barone Spoto, sia i censi assegnati al Conte Cenci Bolognetti.

Lo Spoto pagò altre 400 onze per comprare la parte del debito gravante sul palazzo e quindi cancellarne l’ipoteca. Il Conte Alessandro Cenci Bolognetti fu a sua volta costretto a pagare la rimanenza del debito per conservare i censi. Gli eredi di Stanislao Spoto, nel 1883, misero in mora il Conte Virginio Cenci Bolognetti, figlio del conte Alessandro, per le 400 onze pagate per il palazzo. Nel 1855, morì Stanislao Spoto. Nel 1867 il Principe Francesco Bonanno si stabilì per tre anni a Cattolica al fine di amministrare i suoi residui beni. Egli aveva, oltre a tre figlie femmine che, a causa delle ristrettezze economiche, sposarono uomini privi di blasone, anche due figli maschi; il primogenito Salvatore morì celibe mentre il secondogenito Antonino si sposò ed ebbe una figlia femmina della quale si ignora la sorte.

Così si chiude un ciclo storico che vide alternarsi, quali signori di Cattolica, alcune tra le più illustri famiglie siciliane. Gli eventi storici hanno portato, dopo momenti di alto prestigio, alla decadenza economica dei Bonanno che videro in pochi lustri diminuire il proprio potere fino a divenire “poveri”.

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