Le memorie di Gasparuccio: Mia madre, “Cavalera” e Marchesa
Mia madre, “Cavalera” e Marchesa Ho trovato un certificato con la denuncia al Comune di Cattolica Eraclea della nascita di mia madre in data 30 1.1896. Si chiamava Giovanna, Maria, Dorotea, Concetta, Emanuela, Stefana e Galliana. Testimoni furono Francesco Leonardi di anni 37 ed Emanuele Caruselli di anni 31. Aveva tutti i nomi delle sorelle di mio nonno ed infine anche Galliana. Perché Galliana? Mia madre è morta ad Agrigento il 12.6.1995. Mancavano sei mesi per compiere 90 anni! Era una donna straordinaria. Veramente fuori dal comune e questo non lo dico perché accecato dall’amor filiale. Era riconosciuta da tutto il parentado come una donna molto intelligente e veramente eccentrica. Nella sua prima giovinezza, dopo gli anni del collegio e la prematura morte del padre e fino al matrimonio, era vissuta isolata in un ambiente molto provinciale. Non era riuscita a dare sfogo a tutte le sue doti ed alla sua straordinaria sensibilità. Peccato. Dipingeva e con mio fratello ancora ci contendiamo i suoi deliziosi dipinti olio su tela; Ricamava ed i suoi ricami incorniciati fanno ancora mostra della sua bravura; Suonava il pianoforte e ancora da vecchia continuava ad allietare le nostre serate, facendo musica; Era bravissima in cucina e conservo ancora i suoi quaderni di ricette con la sua bella calligrafia ben ordinata e nitida.
Ricordo bene il mio piatto preferito: la parmigiana di melenzane con gli strati di frittatine ed il caciocavallo. Si stufava però della routine della cucina e preferiva fare i dolci. Ricordo le polpettine di riso fritte con il miele, ed il mitico biancomangiare che mi faceva ogni giorno cambiando sempre le essenze, dal limone alla cannella ed al cioccolato; Parlava bene il francese; Era stupefacente nel compiere giochi di destrezza come per esempio far girare da una mano all’altra fino a cinque arance tirate in aria. Tre arance le faceva girare a grande velocità. Sembrava un giocoliere da circo e ci incantava con la sua bravura; Ma soprattutto scriveva benissimo. Conservo i suoi componimenti come esempio per i miei figli ed i miei nipoti. Poi c’è tutto il suo epistolario: migliaia di lettere ai figli alla madre ed altri parenti che conservo conservo in bell’ordine.
Quelle sì che varrebbe la pena di pubblicarle. In archivio ho trovato inoltre una sua corrispondenza con il fratello Franz, solo di un anno minore di lei, veramente straordinaria e comunque molto edificante. Quei ragazzi avevano poco più di venti anni, eppure si confrontavano con giudizi molto ben argomentati sui “massimi sistemi”: la gloria, l’onore, l’onesta, l’amore, la patria. Certo, erano nati negli ultimi anni dell’ottocento e in loro c’era tutta la cultura di quel secolo. Dopo la morte del padre (1919) negli anni 20 si fermò a vivere a Cattolica con la madre e le zie Mariannina (madre della zia Pia) e Dorotea, nubile. Era l’epoca della fedele Carmela Sachela che fu sepolta nella tomba di famiglia e che lascò mia madre erede delle sue povere cose (ricordo pero un bel paio di orecchini d’oro che credo siano ancora nella cassetta di sicurezza di mio fratello Dima).
I fratelli erano sempre in giro (Franz studiava a Roma e Giovanni si occupava attivamente delle terre e per un periodo addirittura si trasferì a vivere dalla nonna a Ribera per essere più vicino alle terre di Verdura), la zia Pia aveva “requisito” la casa di Agrigento e metteva sempre “impedimenti” se uno voleva tornarci. Anche la madre (la zia Mariannina) l’aveva esiliata a Cattolica. Aveva cominciato a chiudere la casa di mio nonno (in via Atenea) stanza dopo stanza. Tanto che lo zio Franz quando tornò a vivere ad Agrigento si organizzò un appartamentino nel piano ammezzato sul giardino. La mamma quindi si fermò a Cattolica. In quegli anni praticamente conobbe mio padre (cugino in secondo grado) tornato dalla guerra mutilato ad un piede e con l’aureola dell’eroe. Nel 1923 si fidanzarono. Poi ci fu la rottura e per 5 anni si odiarono fino a quando nel 1928 si sposarono.
In quegli anni Mia madre fece una colletta nel parentado e raccolse la somma necessaria per fare erigere il campanile nella Chiesa Madre (la Madrice). Si vedono ancora le cartoline illustrate con la Madrice senza campanile. Poi recentemente è crollata la cupola per mancanza di manutenzione e per gli escrementi delle “ciavole” che stazionavano sul tetto. Ora si sono trasferite sul tetto del nostro Palazzo! Mia madre ebbe la fortuna di non vedere questo scempio. Gli anni dell’isolamento a Cattolica per una donna giovane di grande temperamento e piena di doti naturali, furono molto duri.
Ho trovato (attaccato allo sportello di un armadio) un biglietto datato 10 novembre 1922, lo trascrivo: ORARIO Alzata ore 7 Toilette dalle 7 alle 8 Rassettare camera – Aria mattutina (fiori in terrazza) – Colazione dalle 8 alle 9 Scrittura – Corrispondenza dalle 9 alle 11 Pittura dalle 11 alle 13 Pranzo dalle 1 alle 2 Fiori artificiali – dolci – conserve dalle 2 alle 3 Cucito dalle 3 alle 5 Passeggiata in terrazza –merenda- conversazione dalle 5 alle 6 Pianoforte – lettura dalle 6 alle 8 Rosario – Cena –Ricamo con mamma che legge ad alta voce dalle 8 alle 11 Riposo dalle 11 alle 7 Ahi, ahi, la vita di paese; e che duro tirocinio!
Che tristezza la vita di provincia: Invidie, gelosie, cattiverie gratuite, lettere anonime Mia madre è stata la terza “Cavalera” (ma generalmente veniva chiamata “marchesa”) che ha saputo difendere il patrimonio dei figli orfani e minorenni.
Ho precisi ricordi di quell’epoca perché ero il suo accompagnatore ufficiale (ragazzino di 12-13 anni) negli uffici dell’Assessorato all’Agricoltura e della famigerata ERAS. Era una donna di gran cuore, generosa e caritatevole. Nei tristissimi anni del dopoguerra con il ritorno dei reduci, con le campagne abbandonate, in quel marasma di una guerra persa e con la guerra civile ancora nel Nord d’Italia, non c’era veramente da mangiare. Il razionamento del pane non esisteva più; mancavano i mezzi di sussistenza ed ognuno si doveva arrangiare come meglio poteva. Quel tristissimo inverno mia madre organizzò per due giorni la settimana la distribuzione gratuita di prodotti alimentari (legumi e cereali) che avevamo ancora in magazzino. Il martedì ed il venerdì a chiunque si presentasse con un sacchetto, venivano consegnate due “garozze” (la minima unità di misura e di capacità), una di fave e l’altra di orzo. Quando furono esauriti si passò ai ceci ed alle lenticchie. Ciò fino al raccolto delle nuove produzioni. Ricordo nel portone di casa mia lunghissime file di gente che ordinatamente attendeva il proprio turno con due sacchettini da riempire.
Ricordo anche la frase di ringraziamento che veniva da tutti mormorata: “Lu signuri ci lu renni”. Erano tempi davvero duri. Era molto popolare, mia madre, come ho potuto constatare ai suoi funerali con una folla imponente e con la spontanea chiusura delle saracinesche al passaggio del feretro. Era anche molto brusca ed autoritaria. Ricordo alcuni episodi dagli aspetti umoristici: Una volta doveva selezionare una nuova cameriera ed era venuta una donna a farsi conoscere. Si capiva subito che non andava bene dal suo fare arrogante ed infatti le prime parole che disse furono: “Pattu prima, mani a moddru nenti”. Rivedo ancora la scena: Mia madre seduta in poltrona nel salottino che alza un dito, indicando la porta e dice solo una parola: “Fuori!”. Veniva sempre qualche contadino con un paniere di frutta e poi chiedeva di salutare mia madre.
Veniva ammesso nel suo salottino e si avvicinava porgendo la mano. Istintivamente mia madre si ritraeva, ritirando la mano fino a nasconderla nella manica e diceva “non importa, non importa”. Non dava mai la mano! “Tenete in testa, tenete in testa” diceva ai contadini che si toglievano la “coppula” in segno di rispetto quando parlavano con lei. Era un atto di cortesia quello di invitarli a ricoprirsi il capo. In effetti però mia madre detestava vedere quelle teste e quelle nuche così bianche (mai baciate dal sole) a confronto di quei visi bruciati dal sole siciliano. Aveva una grande capacità nel distinguere immediatamente a chi doveva dare del Voi o del Lei. Non dava mai del tu se non a giovanissimi. Il civile (un impiegato) meritava il “Lei”. Il contadino o l’operaio, il “Voi”. Eravamo ammirati nel vedere in una conversazione come passasse rapidamente dal lei o al voi secondo a chi si rivolgeva. Aveva grande fantasia ed imponeva la sua volontà anche agli artisti. Ricordo che ad una mostra di dipinti comprò un quadro ma impose al pittore di sistemare alcune rondinelle nella parte azzurra del cielo. Un’altra volta chiese ed ottenne che il pittore riportasse il quadro al suo atelier per abbassare la testa di una giraffa! A Palermo frequentava un convento di suore e le conosceva tutte.
Per Pasqua volle fare loro una sorpresa: Prese contatto con un famoso caramellaio, fabbricante di cioccolato che preparava uova di Pasqua e ordinò trenta uova tante quante erano le suore del convento. Preparò un regaluccio personalizzato per ogni suora, accompagnato da un suo biglietto e consegnò questo materiale al caramellaio. Bisognava però fare molta attenzione che il dolciere scrivesse su ogni uovo il nome della suora destinataria di quel regalo. Insomma fu un mese di preparativi ed io ricordo bene il mio “vai e vieni” per portare elenchi e pacchettini. Io ero molto irritato per questo gran daffare che consideravo una stramberia. Mia madre ebbe molto successo e per qualche tempo non si parlò d’altro. Negli ultimi anni della mia permanenza a Palermo, alla fine degli anni 50, ho vissuto da solo con lei perché i miei fratelli stavano uno a Genova e l’altro ad Agrigento.
Ne ho un ricordo sereno. Una o due volte a settimana il pomeriggio, l’accompagnavo in macchina a certe riunioni che facevano in una associazione caritatevole e religiosa che si chiamava “Rinascita”. E poi all’ora di cena andavo a riprenderla. C’era sempre un prete che faceva da assistente. Queste riunioni si svolgevano a turno nelle varie case dei componenti e veniva offerto il thè. Poi si teneva il dibattito sull’argomento posto dal prete. So che mia madre “teneva banco”. Era sempre lei l’animatrice delle riunioni e per questo era sempre ricercata. Ricordo la baronessa Mocciaro, Maria Briuccia, Fulvia Vanni. Quando non andava a queste riunioni, si incontrava con la zia Elena Merra ed insieme andavano “alle Ancelle” del Sacro Cuore una chiesa dove facevano “le adoratrici” cioè facevano sempre un turno di preghiera. Ci teneva molto ad avere la medaglia di “adoratrice” che aveva conquistato con grande fatica e che io conservo tra le cose più care.
Quando io partii per Firenze la mia famiglia si disperse definitivamente e mia madre andò a vivere ad Agrigento dove c’era l’altro mio fratello, la nonna, lo zio Franz e la zia Pia. Mio fratello quindi viveva con 4 vecchi ognuno dei quali aveva le proprie manie. Ma per la verità la mia famiglia si dissolse l’11.6.1943 giorno della morte di mio padre. Non ho mai dimenticato quella data. Quando i suoi impegni di “adoratrice” alle Ancelle lo richiedevano, ritornava a Palermo. Fu quello il periodo della signorina Ricotta (Ricotta Salvatrice da Termini Imerese), una specie di serva-padrona che doveva essere una “dama di compagnia”. La odiavo io, la Signorina Ricotta perché aveva capito che era indispensabile per mia madre e le faceva “increpafele” cioè la trattava male. Credo sia stata l’unica persona di cui mia madre abbia sopportato le rispostacce ed il cattivo carattere.
Ma la signorina Ricotta era allegra e teneva allegra mia madre. Odiavo anche Madre Elena, la capa delle “adoratrici” delle “Ancelle” che costringeva mia madre ad un continuo trasferimento (in taxi) tra Agrigento e Palermo. Anche il giorno dei funerali di mia nonna! Povera mamma mia . Se fosse vissuta in un’altra epoca o se non si fosse ripiegata su se stessa con una forma di depressione prima per la lunga malattia e sofferta morte del padre quando aveva meno di vent’anni e poi per l’improvvisa morte del marito quando aveva appena 46 anni, avrebbe certamente potuto far esplodere la propria personalità ed avrebbe avuto un grande successo in tutti i campi.
Invece è vissuta molto infelice. Era ipocondriaca: credeva di essere gravemente ammalata per problemi cardiaci ed invece è vissuta fino a novanta anni. Era soltanto depressa e non sempre riusciva a reagire per superare quei brutti periodi. Non voleva sentire parlare di malattia di nervi che identificava come una forma di pazzia. Cosa vergognosa. Ho trovato un suo appunto, scritto con la sua inconfondibile calligrafia, allegato ad una diagnosi ed una ricetta di un famoso psichiatra, direttore del Manicomio di Palermo e luminare della scienza, che aveva segretamente consultato. In quell’appunto in forma telegrafica aveva scritto i suoi sintomi: Irritabilità Emotività Insonnia Tristezza Testa vuota Sensazione di vertigine Esaurimento dopo lieve fatica intellettuale Memoria attutita Senso di angoscia nelle partenze anche per brevi gite Pena infinita nelle continue contraddizioni Bisogno assoluto di una parola buona Difficoltà nell’espressione del pensiero Scambio di nomi e di parole Turbamento da timidezza La diagnosi del famoso medico specialista di malattie nervose e mentali e direttore del manicomio fu: “Neuro artritismo in soggetto anemico”. E la terapia: “Un flacone di compresse di Citopatina Schiapparelli, due compresse prima di colazione e due prima di pranzo, ogni giorno.” Cioè estratto di fegato di animali giovani per curare l’insufficienza epatica. Mia madre non era ammalata di cuore e neppure di nervi. Era soltanto depressa ma non sapeva reagire alla depressione. Anche io sono depresso ed ho la stessa tendenza all’avvilimento che aveva mia madre. Ma io reagisco. C’è da dire che mia madre era sola mentre io ho accanto una donna come Fiamma che è una quercia. Ha le idee molto chiare e si occupa molto di me. In qualche posto ho parlato e certo ne parlerò ancora dei rapporti fra mia madre e mia moglie. Qui voglio soltanto riportare un appunto, con la sua indimenticabile calligrafia, trovato tra le carte di mia madre che si riferisce al suo giudizio su Fiamma. “Attivissima Tutta fuoco Elegante Spiritosa & Ottima cuoca Ottima padrona di casa Arredatrice di gusto fine Organizzatrice di viaggi & Padrona della lingua Intenditrice d’arte Brava al bridge Brava negli sport & Simpatica amica Madre tenerissima Moglie affettuosa Crudele con la suocera Nell’archivio di Cattolica molti dossier sono pieni delle sue corrispondenze iniziate quando aveva venti anni con le amiche del collegio e durate fino alla fine della vita. Due soprattutto erano le grandi amiche storiche: Mad Pennisi di Acireale e Lia Gullo di Palermo. Mia madre amava molto il giardino del Pizzo di cui forse parlerò. In quel contesto c’erano i “granai del Peculio” che volle trasformare in Cinema. Di questa vicenda ha parlato a lungo Vincenzo Raineri. Io qui vorrei solo riportare il testo della lapide in marmo che ho fatto mettere sull’ingresso del vecchio Cinema Aurora: “Nell’anno 1945 la marchesa Giovanna Borsellino (1896-1985) superando difficoltà insormontabili volle caparbiamente creare in questi impervi luoghi il primo cinema di Cattolica Eraclea, offrendo lavoro ed occupazione nei tristissimi anni dell’immediato dopoguerra, alimentando con il mito della cinematografia i sogni delle nuove generazioni e riempiendo di contenuti e di attività la propria vita crudelmente mutilata per la repentina scomparsa del marito Francesco, ultimo indimenticabile Podestà, falciato da banale malattia all’età di 46 anni.
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