Asti, odi e litigi tra i discendenti del Barone Spoto e del Marchese Borsellino
Certamente il Barone Giacomo Spoto morto nel 1864, rimasto vedovo nel 1861 per la morte della moglie Maddalena Montalto che per tutta la vita gli era rimasta vicino e di grande conforto, passò gli ultimi tre anni della sua vita in uno stato di grande infelicità, accanto al figlio Nzulu (“lu Signurinu”) demente ed epilettico che era stato abbandonato dalla moglie Caterina Pasciuta.
Successivamente tra i discendenti del Barone Spoto si crearono due partiti: da una parte i discendenti di Caterina Pasciuta (figli e nipoti) e dall’atra parte i discendenti di Francesco (lu ziu Cicciu) e Michelino che si erano schierati con il fratello demente Nzulo.
Abbiamo visto come tali ostilità si erano trascinate per lungo tempo fino a portare la vertenza contro Caterina Pasciuta di fronte ad un Tribunale.
Poi nelle generazioni successive c’è sempre stata se non proprio inimicizia, grande freddezza fra questi parenti Spoto.
Anche il Marchese Gaspare Borsellino, rimasto anch’esso vedovo, passò gli ultimi anni della sua vita in grande infelicità per la grave ingiustizia subita, non solo e non tanto per la destituzione della carica di Conservatore Generale di Agrigento quanto per il fatto che il suo patrimonio veniva eroso a causa delle malefatte del suo successore nella Conservatoria, il Conte Gaetani, mentre la cauzione all’Erario continuava ad essere quella data dal Marchese Gaspare.
Ingiustizia palese che fu riconosciuta dopo una causa contro l’Erario ed il Conte Gaetani durata oltre venti anni e vinta grazie alla costanza ed alla perseveranza del figlio Francesco (il Cavaliere) suo erede universale, che da solo dovette sostenere tutti gli oneri della vertenza mettendosi nelle mani degli usurai e rischiando di ridursi in miseria.
Francesco, non solo non fu sostenuto dai fratelli ma per certi versi ne fu ostacolato anche perché nel frattempo erano iniziate altre vertenze giudiziarie tra i figli del Marchese Gaspare sia per il suo testamento malfatto che per il testamento del Marchesino Dima.
Le vertenze giudiziarie sostanzialmente furono due. Una tra la “Cavalera” ed il Marchese per la divisione del Palazzo di Piazza Grande ed uno tra la “Cavalera” e tutti gli altri fratelli per il riscatto del feudo di Giardinelli di Cammarata che il Marchesino Dima aveva lasciato al nipote Dima senza tener conto del vincolo “primogeniale agnatizio” legato al feudo. Il feudo quindi toccava a Francesco (il Cavaliere) erede universale del Marchese Gaspare e così fu riconosciuto sia in Tribunale che in Corte di Appello.
Fra l’altro il Marchesino Dima aveva lasciato a questo suo nipote Dima anche il titolo di Marchese (e Marchese fu subito chiamato da tutta la popolazione) come se i titoli nobiliari si potessero lasciare in eredità a proprio piacimento mentre la legge araldica è molto rigida in materia ed i titoli vengono trasmessi in base alla genealogia. Solo dopo molti anni mio padre rivendicò il titolo ma precedentemente questo riconoscimento non interessava a nessuno. Badavano al solido, alla “robba”.
Frattanto tra i due rami Borsellino (“Cavalera” e Marchese) si erano formate forti odiosità e per darne una misura trascrivo un documento trovato in archivio da cui risulta una strana vertenza davanti il Pretore di Cattolica:
Atto notorio
L’anno milleottocento ottantanove il giorno tredici febbraio in Cattolica.
Innanzi a noi Avv. Tachinotti Pietro Pretore del Mandamento di Cattolica, assistito dal Cancelliere Alfonso Sorrenti
E comparso
Borsellino Dima fu Francesco di anni trenta possidente da Cattolica ed ha detto di avere con sé condotti quattro individui affinché dalle dichiarazioni giurate degli stessi rediggasi atto di notorietà all’oggetto di venir constatato:
Che la casa degli eredi del fu Giovanni Borsellino del Marchese Gaspare sita in questo abitato e precisamente quella attaccata ai quarti di proprietà degli eredi di Francesco Borsellino dello stesso Marchese Gaspare è stata affittata ed è abitata in uno ai corpi in comune
1. Ai soldati ed ufficiali dell’esercito con prostitute e concubine di questi ultimi
2. Ai commissari del Monte Agrario e prostitute di essi
3. Agli ingegneri della Società Condotte e loro concubine
4. Alla compagnia equestre diretta dal Signor Cardinale Luigi e ciò nello scorcio del 1888 e principio del corrente anno
E finalmente che in detta casa hanno avuto luogo diverse accademie date da musicisti
Dietro di che si è sottoscritto e lo abbiamo fatto allontanare
Firmato Dima Borsellino fu Francesco
Indi abbiamo fatto chiamare i prodotti testimoni ed essendosi i medesimi presentati gli abbiamo diretta una seria ammonizione sulla importanza legale del giuramento, sul vincolo religioso che i credenti contraggono verso Dio, sull’obbligo di dire la verità e sulle pene stabilite dal codice penale contro i colpevoli di falsa testimonianza o di reticenza ed ad ognuno di essi ho detto di replicare:
“Giuro di dire la verità niente altro che la verità”
Interpellati a dare le generalità rispettive si sono qualificati come appresso:
1. Colagrosso Beniamino fu Bernardino di anni 73, possidente da Cattolica
2. Contino Domenico fu Rosario di anni 69, possidente da Cattolica
3. Contino Francesco fu Giovanni di anni 60, possidente da Cattolica
4. Contino Giuseppe fu Giovanni di anni 55, possidente da Cattolica
Informati di ciò che si deve constatare ed analogalmente richiesti l’un dopo l’altro e separatamente hanno concordemente dichiarato così:
Signore, possiamo attestare i seguenti fatti perché indiscutibilmente certi e cioè:
Che la casa degli eredi del fu Giovanni Borsellino del Marchese Gaspare, sita in questo Comune e precisamente quella attaccata ai quarti di proprietà degli eredi di Francesco Borsellino dello stesso Marchese Gaspare è stata affittata ed abitata in uno ai corpi in comune
1. Ai soldati ed ufficiali dell’esercito con prostitute e concubine di questi ultimi
2. Ai commissari del Monte Agrario e prostitute di essi
3. Agli ingegneri della Società Condotte e loro concubine
4. Alla compagnia equestre diretta dal Signor Cardinale Luigi e ciò nello scorcio del 1888 e principio del corrente anno
Possiamo finalmente attestare che in detta casa hanno avuto luogo diverse accademie date da musicisti.
Del che si è redatto il presente verbale che previa lettura e conferma viene sottoscritto dai testimoni.
Cosa erta successo? Il fratello di mio nonno paterno Dima (esponente della “Cavalera” ) denunciava che i cugini (ramo del Marchese) affittavano la casa allo scopo di dare fastidio.
Nessun commento. Il Palazzo era ridotto ad un bordello e le mie povere prozie per andare in chiesa la mattina usavano le scalette della cantina. Solo così potevano evitare di fare cattivi incontri! Come mai si era arrivato a tanto?
Mi meraviglio molto che mio nonno materno (Dima) che in quell’anno ormai aveva 26 anni ed era proprietario della casa, abbia potuto fare una cosa del genere. Credevo fosse un uomo buono, invece affittava a questa gentaglia solo allo scopo di dare noia a questi cugini che a quell’epoca erano in grande difficoltà.
Qualche anno dopo egli fu costretto a cedere il feudo di Giardinelli che aveva avuto dallo zio Marchesino Dima, perché i Parlapiano posero come condizione per il suo matrimonio la conclusione di tutte le cause con “la Cavalera”.
Sempre più mi sento Borsellino della parte paterna piuttosto che materna.
Erano ridotti ai ferri corti questi due rami dei Borsellino. Fino a quando non avviene un miracolo. Mio padre, ultimo discendente della “Cavalera” si innamora di mia madre ultima esponente del Marchese e dopo un fidanzamento travagliato e contrastato che varrebbe la pena di ricostruire come ultima edizione dei “Capuleti e Montecchi” di Shakespeare, si sposarono.
In un’epoca in cui i matrimoni venivano combinati e pattuiti, i miei genitori si sposarono contro le aspettative di tutti perché le due famiglie erano rivali e rancorose e non avevano alcun rapporto. Mio padre e mia madre erano cugini di secondo grado e non si erano mai frequentati. In archivio ci sono molte tracce sul loro rapporto a cominciare da un faldone pieno di pacchetti di lettere che si sono scambiate su carta profumata che io per pudore non ho mai voluto leggere. Ho lasciato quelle lettere con i legacci originari con i quali furono legate.
Unica cosa che mi piace trascrivere è un foglio scritto con calligrafia di mio padre con una poesia dedicata a mia madre con la data 24 giugno 1912 (giorno del suo onomastico). Mio padre non aveva ancora 16 anni.
A Giovanna
A te, o Giovannina
La cui guancia una rosa
Soave rende bellina
Salve viola odorosa
Salve in si fausto giorno
Di pura luce adorno
Oggi il pastor gentile
Ricorre e pien di gioventù
Il sol primaverile
Ride di tua virtù
Scaldando con sua tela
I figliuoli di Loeda
Vorrei di geniali
Doni gran pregi offrirti
Ma chi ? liberali
Essere ai sacri spirti
Fuor che la cetra, loro
Non venne altro tesoro
Scendete o versi miei
Simili or dunque a dolce
Mele di favi iblei
Che lento i petti molce
Sopra l’a
li sonore
Di te, o sorella al core
Francesco Borsellino
24 giugno 1912

No Comment! Be the first one.