“La Carrozza” – Racconto di Nino Pennino
La nostalgia dei tempi passati si vive ancor oggi quando si guardano una serie di un film, tratto da romanzi di altri secoli scomparsi. In questi romanzi si rincorrono storie, in cui compaiono carrozze di diverso tipo con caratteristiche disparate e di bellezze artistiche incomparabili. Tra i potenti della terra c’era la gara a chi possedesse la carrozza più sfarzosa. Tra loro si contavano imperatrici, regine, principesse, duchesse, baronesse, contesse. Erano tutte donne ambiziose, che pretendevano dagli artisti falegnami anche carrozze dorate.
Invece la carrozza di un latifondista catanese era semplice e funzionale. Gli serviva per andare a controllare le sue vaste terre e poi in estate la caricava di suppellettili, perché si trasferiva con tutta la famiglia in campagna per avere ogni giorno sott’occhio tutti quelli, che si adoperavano per la raccolta nelle sue estensioni di alberi di frutto e non. Quando era più giovane si recava in campagna con il suo cavallo di pelle rossiccia benché nel cortile ci fosse sempre a disposizione la carrozza per la famiglia quando essa doveva fare visite a persone distanti per diversi motivi. Tra tanti prodotti agricoli aveva una predilezione per gli agrumi, specialmente per le arance sanguigne. Era stato un ufficiale garibaldino ed appunto per questo portava il rosso nel cuore in ricordo delle camicie rosse. Aveva visto sgorgare tanto sangue negli scontri contro i soldati dei Borboni. Non avrebbe voluto scordare mai quel rosso di sangue, che costò la vita a tanta gioventù e tanto pianto alle famiglie. Erano quasi tutti giovani italiani, che combatterono per generali diversi. Il latifondista sapeva bene che le arance sanguigne erano richieste, perché erano ricche di vitamine salutari. Con le quali si facevano anche uso nei dolciumi.
Anche la duchessa di Cattolica in Sicilia possedeva una sfarzosa carrozza, con la quale il duca don Blasco Isfar et Corilles, fondatore del luogo si recava con la moglie spesso a Palermo, dove risiedeva per lunghi periodi per frequentare anche i saloni della nobiltà palermitana. Per l’impegno politico era importante risiedere a Palermo per fronteggiare in ogni evenienza le pericolose scorribande dei Saraceni. Il signore Blasco Isfar et Corilles fece carriera con la nomina, che lo incaricava di fondare Cattolica al fine di popolare la zona e di coltivare i terreni, specialmente quelli fertili. Comunque doveva essere a disposizione del viceré in qualsiasi momento del giorno e della notte per essere utile al reame spagnolo. D’altra parte veniva ricompensato non solo con il titolo, ma anche con la pecunia.
Invece il popolo siciliano faticava molto per sfamare la famiglia, che non chiedeva nient’altro che di mettere sulla parca mensa del cibo giornaliero.
Il latifondista catanese aveva un figlio Saverio, che non voleva saperne né di arance sanguigne né del suo amore per Garibaldi, perché amava la poesia. Il padre gli ricordava che il benessere della famiglia proveniva dal lavoro dei suoi contadini, che facevano fruttare con tanto sudore, lavorando le sue terre dalla mattina presto fino a sera tardi. Così lo pregava di lasciare le letture antologiche per dedicarsi all’agricoltura. Ma il figlio preferiva piuttosto fare la fame per seguire la sua natura da poeta che passare il suo tempo sui campi, non volle mai abbandonare la poesia, che era diventata la sua passione.
Con grande rammarico il padre latifondista dovette scordarsi il sogno di una carrozza sfarzosa con il contributo fattivo del figlio, perché amava verseggiare.
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