MAFIA. Processo Minoa: concluse le arringhe, il 22 dicembre la sentenza
Concluse le arringhe del processo col rito abbreviato scaturito dall’operazione antimafia “Minoa” della condotta dalla Dia di Agrigento e coordinata dalla Dda di Palermo.
Gli avvocati difensori dei 5 imputati che hanno scelto il rito abbreviato che si sta celebrando davanti al Gup di Palermo Mario Conte hanno chiesto per tutti l’assoluzione.
Alla sbarra il presunto boss di Cattolica Eraclea, Domenico Terrasi, e quello di Montallegro Damiano Marrella, insieme ad Andrea Amodeo, Francesco Manno, di Cattolica, e Marco Vinti di Ribera.
Gli altri tre cattolicesi arrestati nello stesso blitz della Dia di Agrigento il 27 novembre 2009, Giuseppe Terrasi, Gaspare Tutino e Paolo Miccichè, hanno scelto di essere processati col rito ordinario, il dibattimento dovrebbe cominciare nel gennaio 2011.
Nell’udienza di ieri, presente il sostituto procuratore Fernando Asaro, ha iniziato a discutere l’avvocato Nino Oliveri che ha chiesto l’assoluzione, così come ha fatto l’avvocato Nino Gaziano, dell’imprenditore di Ribera, Marco Vinti, ritenuto il prestanome della famiglia Capizzi. “Del tutto insussistente il concorso in associazione mafiosa per un solo lavoro svolto – ha detto la difesa – e di questo appalto è stata oltretutto dimostrata l’assoluta liceità sotto tutti i profili”.
Poi ha parlato per circa due ore l’avvocato Enrico Quattrocchi sulla posizione processuale di Domenico Terrasi analizzando i vari aspetti del capo d’imputazione e chiedendo alla fine l’assoluzione con ampia formula liberatoria. Quattrocchi ha sostenuto che per Domenico Terrasi “non ci sono nuovi elementi rispetto a quelli per i quali è stato già condannato nel maxi processo Akragas. Nessuna condotta – ha aggiunto l’avvocato – indica la sua partecipazione in Cosa nostra”.
Lo stesso aveva fatto la scorsa settimana l’altro difensore, l’avvocato Ignazio Martorana, sostenendo che il Terrasi non rivestirebbe “nessun ruolo direttivo nell’associazione mafiosa e soprattutto non ha commesso nessuno dei fatti che gli si addebitano nel capo d’imputazione. Tutti i pentiti riferiscono fatti antecedenti al 1998 (data del suo arresto nel processo Akragas) e il Di Gati lo indica come persona addirittura che è stata reclusa nel carcere di Caltanissetta unitamente a Salvatore Fragapane nel 1996, circostanza smentita dalla produzione di certificazione dello stessa casa circondariale di Caltanissetta”, ha sostenuto la difesa.
Ieri ha parlato anche l’avvocato Valeria Martorana che ha discusso per quasi un’ora sulla posizione processuale di Francesco Manno, nipote di Terrasi, soffermandosi principalmente sul la vicenda del parco eolico mettendo in rilevo che “nessuno degli indagati aveva mai posto condotte intimidatorie nè nei confronti dei venditori dei terreni siti in contrada Aquilea-Alvano nè nei confronti della stessa società Moncada che per sua scelta (potenziamento delle pale eoliche e riduzione delle stesse) aveva scelto un altro sito sempre nel Comune di Cattolica Eraclea. L’avvocato Martorana per Mano ha quindi chiesto l’assoluzione perchè il fatto non sussiste
Sulla stessa scia ha concluso la sua arringa l’avvocato Ignazio Martorana che ha chiesto l’assoluzione sia per il Manno che per Andrea Amodeo specificando che “sui due imputati erano intervenuti ben quattro ordinanze da parte del Tribunale delle Libertà di Palermo accogliendo le istanze di scarcerazione e di dissequestro del ristorante Tre Vulcani sequestrato al momento dell’arresto affermando in tutte le dette ordinanze la totale insussistenza di gravi indizi”.
Per Marrella, l’avvocato Gaziano ha sostenuto in aula che “le accuse dei pentiti sono talmente imprecise che non lo indicano nemmeno con il nome corretto. Putrone non sa come si chiama, Di Gati, per descriverlo, fa riferimento a un fratello che lavorerebbe all’Utc di Aragona dimostrando che sbaglia persona. Questi errori grossolani, uniti all’assoluta mancanza di intercettazioni dirette non consentono di accertare la sua responsabilità”.
L’udienza finale è prevista per il 22 dicembre prossimo, probabilmente alle arringhe replicherà il Pm Asaro che nella requisitoria ha chiesto 60 anni di carcere per cinque imputati.
Ecco le richieste nel dettaglio: 20 anni di carcere per Domenico Terrasi, ritenuto il boss del clan di Cattolica Eraclea al quale il pm ha contestato due aggravanti: la recidiva specifica e l’essere tra i capi dell’organizzazione Cosa nostra. Richiesta di 15 anni di carcere invece per Damiano Marrella, macellaio, ritenuto il capomafia di Montallegro. 10 anni sono stati chiesti per Andrea Amodeo, ristoratore di Cattolica Eraclea, 8 anni per Francesco Manno, cattolicese impiegato al Comune, e infine 7 anni per l’imprenditore di Ribera, Marco Vinti. Tutti gli imputati si dichiarano innocenti, i loro avvocati chiedono l’assoluzione.
Nel processo si sono costituiti Parte civile, chiedendo il risarcimento dei danni, il Comune di Cattolica Eraclea, la Provincia di Agrigento e la Regione Sicilia.
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